1. VISTA
Gli occhi sono il nostro campo base dal quale iniziamo a educare la nostra percezione e, in qualche modo, a catalogare tutto ciò che ci circonda. Il tuo blog si occupa di arte e sono affascinata da come ne scrivi e dalla ricchezza d’immagini che accompagnano i tuoi articoli. Hai un quadro, una scultura o un’opera che ha cambiato il tuo modo di vedere l’arte e perché?
Tutta l'arte ha cambiato il mio modo di vedere l'arte. Amo praticamente qualsiasi stile e qualunque artista. Potremmo fare al contrario, potrei dirti quali autori e quali opere non mi comunicano nulla (anche perché non sono tanti) ma farei un torto a personaggi molto illustri...
Quello che cerco nell'arte è la capacità di farmi vedere nuovi mondi, nuovi universi di senso. A volte cerco l'armonia di un impressionista, altre volte la violenza cromatica di un espressionista astratto, l'ironia di un surrealista, l'effetto di immensità di un paesaggista romantico o l'astrazione estrema del Suprematismo.
Sicuramente la pittura degli ultimi due secoli è quella che mi appassiona di più. La scultura, invece, mi piace molto antica, primitiva, essenziale.
E l'architettura espressiva ed eccessiva come quella gotica o quella barocca. Adoro anche le vetrate, le miniature, i mosaici, l'oreficeria.
Ecco, vedi? Se cerco di farti un elenco di ciò che mi emoziona, di tutto ciò che mi ha cambiata e arricchita non la finisco più!
2. UDITO
Credo che anche l’arte possa essere ascoltata attraverso quelle inaspettate vibrazioni che si provano guardando un’opera. De Kooning scrisse: “Sono sempre nel quadro, in una qualche sua parte. Sono sempre presente nello spazio che utilizzo, potrei dire che circolo per questo spazio…”. Ci sono artisti che sono riusciti a portarti nel loro spazio?
Mi piace il silenzio che alcuni artisti riescono ad esprimere. I tagli di Fontana mi danno l'idea di un gesto lento, che fende lo spazio con estrema precisione. Un'azione che coinvolge tutti i sensi anche solo a guardarne l'effetto.
Poi c'è Burri. Altrettanto concettuale. Il suo Cretto a Gibellina (un'opera di land art realizzata sulle rovine causate dal terremoto del Belice) è uno spazio straordinario. Una sorta di labirinto-cimitero. Un luogo dell'astrazione dove l'unica forma di vita è il sussurro del vento sulla collina.
Completamente diversa è la Sagrada Familia di Gaudì, a Barcellona. Eppure mi ha dato sensazioni analoghe: uno spaesamento, un'emozione intensa.
Il bisogno di stendersi sul pavimento e diventare un tutt'uno con quella luce e con quello spazio.
3. OLFATTO
Abbiamo una memoria odorosa spesso legata all’infanzia: quali sono gli odori della tua terra che porti sempre con te, nei tuoi ricordi? E come hanno influenzato la tua creatività?
Non ricordo l'odore (ma potrei riconoscerlo, se lo sentissi). Circa vent'anni fa. Sera d'estate nella casa dei miei genitori sull'Etna. Improvvisa e intensa arriva una ventata carica del profumo di tutti i fiori immaginabili.
Un aroma tiepido di gelsomini, rose, margherite, ma anche basilico, menta, rosmarino. Qualcosa che non avevo mai sentito prima e che non ho risentito mai più. Mi ha letteralmente stordita.
Sono rimasta immobile ad inspirare il più possibile quel profumo. Come una madeleine ha risvegliato ricordi lontani, ma senza che riuscissi a metterli a fuoco. Non so che effetto abbia avuto sulla mia creatività.
So solo che quando mi trovo di fronte a un'opera d'arte cerco di mettermi nella stessa condizione di percezione totale, di desiderio di assorbirne l'essenza fino all'ultima stilla.
4. GUSTO
Il gusto è il primo contatto con il mondo. Ancor prima di viverla la vita la assaporiamo. Il gusto è la percezione di un sapore (amaro, dolce, salato…) ma anche di uno stile. L’arte moderna, con i suoi molteplici stili, diede la giusta scossa di cui aveva bisogno il mondo o forse era il mondo assetato di modernità e di nuove visioni. Oggi, invece, l’arte sembra cercare la provocazione a tutti i costi. Perché lo spettatore si sente spaesato dinanzi a certe opere o installazioni? Qual è il ruolo dei musei per avvicinare le nuove generazioni, e non solo, all’arte?
L'arte contemporanea è fondamentalmente concettuale. Da cento anni a questa parte ha abbandonato ogni forma di comunicazione immediata e comprensibile per diventare sempre più autoreferenziale, a volte provocatoria, a volte talmente minimalista da cadere nel mutismo totale.
È naturale essere perplessi di fronte a lavori così criptici. Anche perché, va detto, tanta roba prodotta in questi tempi è proprio fuffa e l'osservatore non riesce a capire se ha davanti un capolavoro o una boiata (capita anche a me...).
Naturalmente l'atteggiamento del “potevo farlo pure io” non aiuta la comprensione anche perché l'arte, in particolare quella contemporanea, non è (solo) virtuosismo tecnico.
I musei potrebbero fare tanto in questa direzione. Perché se da ignara visitatrice vedo uno slittino di Beuys al centro di una sala, mi sento presa in giro.
Ma se ho fatto un percorso di conoscenza dell'epoca in cui l'artista ha operato, della sua ricerca spirituale, del significato sociale dei suoi oggetti così dimessi, delle sue battaglie politiche, allora potrò anche emozionarmi davanti ad un vecchio slittino di legno. Non perché è bello, ma perché ha tante cose da raccontarmi.
5. TATTO
Ti occupi di illuminazione per musei, monumenti, aree archeologiche, la tua creatività modella trasparenze e ombre. Cosa significa lavorare con qualcosa di così immateriale come un fascio di luce? E quali sono i suoi limiti?
Per me è un privilegio poter lavorare con la luce sui beni culturali. Perché la luce mi consente di modificare la percezione di uno spazio, di un monumento, di un sito archeologico e quindi di interpretarlo.
Mi sento come un regista che mette in scena l'arte e l'architettura. Basta cambiare l'apertura del fascio di un proiettore, la sua direzione, la sua intensità per cambiare completamente l'aspetto di un luogo.
Naturalmente dietro questa magia c'è tanta tecnica. Ci sono formule, ci sono comportamenti fisici della luce che poi sono anche i limiti di cui tenere conto.
Ogni raggio luminoso che incontra un oggetto produce un'ombra dietro l'oggetto stesso. È una cosa ovvia ma a volte capita che le ombre portate possano rovinare una scena studiata in ogni dettaglio. Allora, spesso, parto dalle ombre. Lavoro sulla creazione del chiaroscuro, come se stessi facendo un dipinto tridimensionale. Credo che sia il mio personale modo di fare arte.
E per finire una domanda fuori dai sensi: a quale artista chiederesti un ritratto? E perché?
Chiederei uno scatto ad Elliott Erwitt, uno dei fotografi che amo di più.
Le sue immagini, mai scontate, sono sempre cariche di tenerezza e di ironia. Mi piacerebbe da matti potermi vedere attraverso i suoi occhi!
Per conoscere meglio Emanuela Pulvirenti: Didatticarte
Commenti
Carissima Emma, hai lasciato un commento molto bello e intenso. Sono contentissima che questa intervista abbia suscitato in te tanti ricordi. L'arte ha uno straordinario potere sugli animi sensibili e tu hai sensibilità da vendere. Grazie a te per aver lasciato qui un pezzo di te. :-)