Di solito l’ultima pagina di un libro è quella più difficile da lasciare, spesso la rileggo due, tre volte. È un gesto di addio o magari di arrivederci.
E anche oggi che ho terminato Montedidio ho ripetuto lo stesso gesto: fine, rilettura, addio.
Ma un vero addio alla scrittura di De Luca non lo si può dare perché questo scrittore ha un dono, il dono di trasformare le parole in poesia anche quando poesia non ne cerca.
Se si legge in una stanza scorgi il cielo anche attraverso le pareti, se sei per strada ti senti una nuvola, se sei al mare non c’è Sirena che non ti chieda di leggere la storia ad alta voce.
Non sfiori solo un racconto, ben scritto, abbellito e leggero, dentro ci trovi la musica e la nostalgia, una narrazione asciutta e profumata proprio come i panni stesi sulla terrazza di Montedidio.
Da piccola quando le mie sorelle piegavano le lenzuola io mi ci infilavo sotto per sentire sul viso e tra i capelli il fruscio del cotone fresco che abbracciava tutta la mia spensieratezza.
Leggere questo romanzo mi ha fatto tornare bambina, un po’ per la familiarità con la mia terra e un po’ per quel velo di malinconia oggi a me così vicino.
E con un pizzico di audacia mi son detta “è così che si scrive, è così che vorrei scrivere”. Ma il dono non è per tutti, non è da tutti.
“Non scrivere di pancia, devi scrivere di pancia.” Valla a capire la verità.
Invece è facile afferrarla la verità, scrivere meno e leggere di più, ecco qual è il mio compito. Sono grata agli eventi e ai fortunati incontri - uno in particolare - che mi hanno reso ciò che sono oggi: un’accanita e instancabile lettrice.
Anche questo è un dono prezioso di quelli che rallegrano le giornate come soffice panna su mani porose.
Allora me lo prendo tutto il mio dono, me lo tengo stretto attendendo il prossimo passaggio, il prossimo scrittore che mi porterà lì dove tutto si avvera, lì dove ogni cosa profuma di bucato steso al sole.
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