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Cronaca di una vita da lettrice #2. Tra Hemingway, Bernhard e Palahniuk

Mark Rothko, White Stripe, 1958 Mark Rothko, White Stripe, 1958
Giovedì, 20 Agosto 2015 07:38
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Inizio questa seconda parte del #CurriculumDelLettore da dove avevo terminato la prima: Ernest Hemingway.
Quest’estate, con molta lentezza, ho terminato la lettura dei suoi “I quarantanove racconti”. Dove sono stata e dove sono ora, dopo aver letto le 493 pagine del libro, proprio non lo so.

Hemingway mi ha lasciata alla deriva su una piccola imbarcazione, senza remi e senza timone. È questa la sensazione che ho provato a fine lettura.

Alcuni racconti sono enigmi, sono istantanee di un preciso momento. Sono storie per immagini, quello che c’è prima e dopo non lo saprai mai.

Lo scrittore ti costringe a stare nel mezzo, proprio dove ha stabilito lui, ti blocca in attimi cristallizzati. Se dovessi paragonare questi racconti a delle immagini, affondo la memoria nei dipinti di Edward Hopper e, per altri, nella raccolta intimità delle tele di Mark Rothko.

Con Hemingway non puoi giocare la carta delle metafore, no, con lui non funziona così.
La vita dei personaggi è racchiusa in paragrafi che come isole diventano miraggi e ricordi lontani.

“Non c’era tempo, naturalmente, anche se si aveva l’impressione che le cose si comprimessero da poterle mettere tutte in un paragrafo, a saperci fare.”
(da Le nevi del Kilimangiaro).

Hemingway è un tassidermista che impaglia le parole e le blocca al loro significato evitando così che si ecceda in stupide e superflue interpretazioni.
Tra i racconti scorre un fiume, su una sponda la vita, sull’altra la morte. Sono attese, spesso interminabili, dove gli eventi sono già avvenuti.

“Tutto sa di liquirizia. Tutte le cose, in particolare, che si sono aspettate tanto. Come l’assenzio.
[…] È tutto quello che facciamo, no? Guardare cose e assaggiare nuove bibite.”
(da Colline come elefanti bianchi).

 

“Il mondo è pieno zeppo di mutilati” per me sono queste parole che custodiscono il ricordo di uno scrittore come Thomas Bernhard. È l’autore che, con una scrittura essenziale, elegante quanto crudele, è riuscito a stordirmi e a mutilare ogni mia certezza.

“Noi siamo come siamo, non abbiamo altra scelta. […] L’insensatezza che sopportiamo è totale.”
(da Il soccombente).

Ne scrivo con una molta timidezza perché di Bernhard forse non mi basta aver letto soltanto due libri per poterne parlare. Eppure voglio condividere la mia esperienza di lettrice.

Immersa nelle sue pagine ho dimenticato parole come emozioni, amore, sensazioni, perché hanno perso il loro significato, le ho avvertite svuotate e lasciate a marcire nel silenzio di fronte al boato di “Non esistiamo, ma veniamo esistiti.”

Lo scrittore austriaco scava nel suo profondo sapendo di non dover dar conto a chi lo leggerà, come non si cura della sua patria quando la critica aspramente definendola un posto immondo e puzzolente.

Come accade con i Grandi Scrittori, è il lettore ad apprendere una raffinata lezione di vita. Ma bisogna essere pronti e preparati a entrare in una spirale di parole ed esserne scossi.

Bernhard è concentrato su se stesso, chi lo legge è solo un incidente e la distanza che si crea tra loro due è franca e senza rimpianti.

“L’essere umano pensante è per sua natura un essere umano infelice […] L’infanzia è il buco nero nel quale siamo stati scaraventati dai nostri genitori e dal quale dobbiamo uscire senza alcun aiuto.”
(da Antichi maestri).

 

Spesso le letture sono un concatenamento di eventi, cose viste o ascoltate.
L’incontro con Chuck Palahniuk è avvenuto dopo aver visto il film tratto dal suo romanzo più famoso Fight Club.
Nel film mi avevano colpito alcuni dialoghi, comprai il libro e scoprii il mondo ferino di Palahniuk.

Come spesso accade, rispetto al film, il libro è molto più coinvolgente. Sarà che a me “vedere” ciò che è scritto è risultato facile anche grazie a una scrittura musicale, ritmata, scandita dalle continue ripetizioni che creano la giusta tensione narrativa.

Fight Club è la visione schizofrenica di un uomo qualunque, solo, abitudinario e invisibile al resto del mondo. Vive attraverso le ossessioni e le angosce degli altri frequentando i “centri di sostegno” delle più svariate malattie, terminali e non. Esorcizza la vita giocando con il suo doppio.

“Poi sei intrappolato nel tuo bel nido e le cose che una volta possedevi, ora possiedono te.”

Tyler è l’alter ego del protagonista, Tyler è l’uomo senza regole che fotte la vita, che crea il Fight Club dove degli sconosciuti fanno a cazzotti combattendo a mani nude quasi fino alla morte.

Ogni combattimento lascia un segno indelebile sul corpo, una ferita, una cicatrice che sanguina ancora dopo giorni. Questi segni visibili diventano la prova tangibile della metamorfosi interiore.

La sua è una storia di autodistruzione prima della resurrezione.

“Se ti perdi d’animo prima di aver toccato il fondo, non ce la farai mai. Solo dopo il disastro si può risorgere. È solo dopo che hai perso tutto che sei libero di fare qualunque cosa.”

L’autodistruzione è obliqua, è un momento in cui non appartieni a oggi e non appartieni al futuro, segregato in un purgatorio senza via d’uscita.

“È tutto così oltre noi.”
In questa frase credo ci sia la sintesi di tutto il romanzo, un varcare il ciglio della razionalità per immergersi nel delirio della realtà che diventa la nostra prigione.

Quella di Palahniuk è una scrittura pornografica che aumenta il tono onirico e drammatico dello sdoppiamento di personalità del protagonista.
Un’allucinazione del singolo che diventa abbaglio e follia collettiva. Alla fine anche la ribellione compie la sua parabola e torna al punto di partenza dell’ovvietà.

Così scrive Fernanda Pivano nella postfazione al libro: “[…] questa storia costituisce una delle più violente aggressioni realizzate finora dalla Generazione X, alla semantica dei baby boomers.
[…] Il libro tra il sadico e il noir, è ispirato dalla disperazione, dalla alienazione, dalla violenza che conducono la Generazione X alla più completa anarchia, affondata nell’angoscia, dei giovani contemporanei.
[…] Chi vuole leggere questa storia deve accettare dunque le ripetizioni che martellano come ritornelli le varie scene fino ad accompagnare il narratore in Paradiso abbandonando l’ex socio Tyler nei suoi Fight Club ormai diffusi in tutto il mondo. Tutto immaginario: le sole antiche realtà a non lasciarsi sconfiggere dalle allucinazioni delle droghe e dalle realtà virtuali del nostro tempo restano il cancro e il sangue […]”


Leggere Fight Club è un viaggio oltre la barriera della consuetudine letteraria.

Anche Ninna Nanna e Invisible monsters sono romanzi altrettanto surreali e coinvolgenti.

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Giovedì, 09 Maggio 2019 18:31

Commenti   

0 #2 Mimma RAPICANO 2015-08-20 17:08
Citazione Sonia Bertinat:
Mimma di sicuro i tuoi post appartengono alla categoria "non importa quanto brevi o lunghi siano ma si leggono in un fiato e ti emozionano'.

Grazie Sonia, ho scritto senza badare alla lunghezza, è vero, ma non riuscivo a fermarmi. Il tuo apprezzamento è molto importante per me. :-)
Citazione
0 #1 Sonia Bertinat 2015-08-20 13:47
Mimma di sicuro i tuoi post appartengono alla categoria "non importa quanto brevi o lunghi siano ma si leggono in un fiato e ti emozionano'.
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